Un prerequisito essenziale per la salvaguardia delle specie degli impollinatori è la caratterizzazione delle loro diversità e l’identificazione dei cambiamenti nelle comunità dei pronubi attraverso gradienti biogeografici. La biogeografia riguarda la distribuzione delle specie nello spazio e nel tempo e i fattori biotici e abiotici che la modellano. In base alla teoria biogeografica si può prevedere che le colture impollinate da insetti siano visitate da specie di api differenti a livello continentale e regionale. Tuttavia la misura in cui ciò coinvolge comunità di api che sono funzionalmente e filogeneticamente raggruppate, cioè più funzionalmente simili ed evolutivamente correlate di quanto previsto dal caso, è scarsamente compresa.
Anche il livello in cui l’agricoltura intensiva sia associata all’omogenizzazione delle comunità è a oggi ancora poco conosciuto. Nello studio di Leclercq et al. https://authors.elsevier.com/c/1hX7uB8ccycRK sono state analizzate 664 fra specie e morfospecie di apoidei, catalogate in 177 meleti ubicati in 33 paesi di 4 differenti biomi.
Durante la stagione della fioritura dei meli nel 2019, utilizzando una metodologia standardizzata, è stata esaminata la presenza dei pronubi nei frutteti per rispondere a diverse domande relative alle differenze e alle somiglianze di tipo tassonomico, funzionale e filogenetico, alla variabilità delle specie nello spazio, all’influenza delle caratteristiche dell’habitat, della gestione del frutteto e dell’ambiente circostante sulla diversità delle api selvatiche, nonché alla presenza o meno di un gruppo funzionale numericamente dominante nelle realtà di tutto il mondo.
Sono stati quindi definite delle “zone biogeografiche” quali i biomi (mediterraneo, xerico, temperato, tropicale, subtropicale e montano) all’interno di regni biogeografici (afrotropico, australasia, paleartico occidentale, paleartico centrale, paleartico orientale, indomalaiano, neartico e neotropico), e qui sono stati raccolti 54.166 campioni di api costituiti da 8 specie allevate e 636 selvatiche provenienti da cinque diverse famiglie: Andrenidae, Apidae, Colletidae, Halictidae e Megachilidae. Dal campionamento effettuato si è potuto osservare come Apis mellifera domini numericamente le comunità di api in tutte le zone biogeografiche analizzate.
Questa ricerca ha rivelato significative differenze tassonomiche fra le specie delle varie zone, che tuttavia condividono alte somiglianze filogenetiche, funzionali e comportamentali. Il raggruppamento funzionale e filogenetico riscontrato nelle comunità di api selvatiche, nonostante gli elevati livelli di dissomiglianza tassonomica fa ipotizzare che questo sia il risultato di un effetto di filtraggio dell’habitat, guidato da colture perenni, pratiche di gestione e struttura del paesaggio. Si è osservato infatti come le aree incolte circostanti i frutteti e la gestione biologica abbiano mostrato una relazione positiva con la diversità delle api selvatiche, suggerendo che i sistemi meno intensivi ospitino un numero maggiore di specie e con una più rilevante diversità di tratti funzionali e filogenetici.
I risultati sottolineano la vulnerabilità delle popolazioni e l’impatto delle pratiche agricole globalizzate sulla produzione alimentare. Comprendere i fattori che influenzano la diversità delle api selvatiche diventa quindi fondamentale per garantire servizi di impollinazione efficienti.
Lo studio costituisce un importante passo iniziale nella caratterizzazione della diversità delle api all’interno dei sistemi di coltivazione intensiva su scala globale, sottolineando la necessità di ulteriori ricerche per incrementare efficaci strategie di gestione e conservazione. Ampliando le conoscenze disponibili in questo campo, diventa possibile sviluppare approcci mirati che salvaguardino le popolazioni di impollinatori e promuovano pratiche agricole sostenibili, favorendo la biodiversità come risorsa chiave in relazione al cambiamento globale.
Serena Alessandrini