Nel bel mezzo della sesta estinzione di massa, dove il cambiamento climatico sta mostrando i suoi effetti nefasti e l’inquinamento colpisce su più fronti, la sfida è quella di trovare il modo di produrre cibo in maniera sostenibile.
Le (ir)responsabilità dell’industria agrochimica ieri, oggi e domani: verrà mai messa la salute ambientale ed umana prima del profitto aziendale?
Abbiamo già avuto nel nostro passato esperienze di uso di pesticidi che si sono dimostrati più dannosi che utili, dove gli obiettivi della grande produzione hanno prevalso sul benessere comune (ambientale ed umano) e si sa, purtroppo, la storia è destinata a ripetersi!
Nell’articolo “Pesticides, Corporate Irresponsibility, and the Fate of Our Planet”, pubblicato recentemente sulla rivista One Earth, Dave Goulson ripercorre queste esperienze, fino ad arrivare a descrivere episodi dei giorni odierni, come a voler scuotere le nostre memorie e non farci dimenticare che sebbene alcune molecole siano state effettivamente bandite, non bisogna abbassare la guardia, visto che la ricerca avanza e nuovi prodotti chimici per l’agricoltura vengono continuamente creati e commercializzati.
L’industrializzazione dell’agricoltura, incoraggiata dopo la Seconda guerra mondiale e mirata al miglioramento della produttività agricola, ha sicuramente contribuito a sostenere la popolazione umana fino ad oggi. L’uso della chimica (fertilizzanti artificiali e pesticidi) da una parte e la meccanizzazione delle pratiche agricole dall’altra, sono stati gli elementi chiave della trasformazione delle campagne, arrivata all’estremizzazione visibile ai giorni nostri: sterminate lande monoculturali.
Ad oggi i neonicotinoidi e il glifosate rappresentano i composti su cui è concentrato il dibattito rispetto ai loro effetti sull’ambiente, sulla salute umana e quindi sul divieto o meno del loro uso.
Viene sicuramente da chiedersi se quanto vissuto con il DDT non ci abbia insegnato nulla?
Il cambiamento climatico, oggi impone un nuovo cambio di rotta, ma la sottrazione dalle mani degli agricoltori delle loro armi migliori (pesticidi e fertilizzanti artificiali), senza un contemporaneo cambiamento delle pratiche agricole, non è sicuramente sufficiente. È proprio il caso di dire che è necessario guardare al nostro passato e riscoprire quelle pratiche agricole, come la rotazione colturale, l’utilizzo di sementi con diversificazioni locali, piccoli appezzamenti e siepi divisorie, dove gli insetti non sono visti solo come dei nemici, ma anche come importanti alleati.
Tornando al ruolo delle aziende produttrici di pesticidi e alla loro responsabilità sul futuro del nostro pianeta, l’attuale approccio al problema vede un divieto della commercializzazione di singole molecole o prodotti, solo dopo che questi sono già inseriti nella grande produzione, avendo come effetto quello della rivendita degli stessi in quegli Stati dove il divieto manca, con un totale fallimento ambientale ed etico.
Il problema viene così ridotto ad una questione di tipo autorizzativo, spesso su base nazionale, e finisce per penalizzare i Paesi con politiche ambientali meno avanzate, evitando di trattare il problema con un respiro globale.
In questo senso quindi una soluzione potrebbe essere quella di prevedere un’armonizzazione delle procedure di valutazione del rischio tra le diverse agenzie (es. EPA ed EFSA), oltre a test più stringenti per l’industria agrochimica, al fine di valutare anche gli effetti di tipo sinergico, su organismi non-target e a lungo termine. Anteponendo così al profitto, i rischi per l’ambiente e per la salute umana ed evitando il perpetuarsi dell’irresponsabilità delle aziende produttrici.
Ecco, quindi, le strade da percorrere se si vuole costituire un’agricoltura meno dipendente dalla chimica, dove la produzione del cibo è più sostenibile, grazie ad una gestione integrata tra i vari approcci possibili (tenendo i pesticidi come ultima risorsa), così da svincolare il destino del nostro pianeta dalle responsabilità dell’industria agrochimica.
Elisa Monterastelli
Bibliografia
Goulson, D. (2020). Pesticides, Corporate Irresponsibility, and the Fate of Our Planet. One Earth.