La produttività del 75% delle colture a livello mondiale dipende dall’impollinazione entomofila. Le popolazioni dei pronubi selvatici, però, stanno rapidamente declinando. Per questa ragione, già da diverso tempo, vengono posizionati gli alveari di Apis mellifera nei campi coltivati. Negli ultimi anni anche altri insetti, come ad esempio quelli appartenenti ai generi Bombus spp. o Osmia spp. vengono utilizzati per il servizio di impollinazione.
Ma in che modo questi ultimi interagiscono con le api da miele? Come varia la produttività delle colture a seconda dell’impollinatore utilizzato? Aumenta se viene integrato il servizio di altri insetti a quello già effettuato dalle api? E in ultimo, possono interagire fra loro le attività delle varie specie di pronubi?
A queste domande troviamo riscontro nella meta-analisi del ricercatore argentino Pablo L. Hunicken et al., che attraverso l’approfondimento di differenti studi, svolti su 20 tipi di colture agrarie, fornisce esaustive risposte ai nostri quesiti.
Le indagini effettuate precedentemente a questo lavoro, relative all’impollinazione operata dai vari pronubi, si sono tutte focalizzate sulle analisi relative a una singola visita dell’insetto sul fiore, in termini di polline depositato o di formazione di frutti e semi originatisi da quel singolo fiore. Nella realtà dei fatti, tuttavia, sappiamo che l’impollinazione è il risultato di molte visite durante il periodo della fioritura. La particolarità di questa analisi, e ciò che la rende particolarmente interessante, è invece quella di aver considerato l’effetto globale sulla produttività delle colture oggetto dei diversi studi.
Infatti, se è dimostrato che l’efficienza della singola visita da parte di un’ape da miele è peggiore rispetto a quella di altri impollinatori, la frequenza e l’abbondanza del numero di insetti compensa la più scarsa resa, rendendo il risultato finale paragonabile a quello operato da altri pronubi, più efficienti nella singola visita, ma meno numerosi (Bombus, Osmia, Megachile, Xylocopa, Melipona, Eristalis).
Undici studi analizzati hanno valutato gli effetti dell’impollinazione operata contemporaneamente sia da Apis mellifera che da specie dei generi Bombus, Osmia, Megachile e Melipona, evidenziando un incremento del 22% della produttività delle colture. Questo aumento è indotto da diversi fattori, primo fra i quali la complementarietà dell’attività di bottinamento: specie differenti volano in condizioni climatiche e ambientali anche molto diverse tra loro, garantendo con questa alternanza un maggior numero di visite sui fiori. Un altro motivo riguarda invece l’ottenimento della miglior impollinazione possibile ad opera dell’insetto più valido per una specifica coltura, ad esempio le api solitarie impollinano i campi di erba medica più efficacemente che le api da miele.
L’interazione sinergica tra le specie è stata analizzata solo da tre studi. Uno di questi lavori, a firma Brittain et al., ad esempio, evidenzia come sul mandorlo si ottenga una produzione maggiore utilizzando api e osmie contemporaneamente. E’ stato anche osservato come questo aumento non sia legato al maggior numero di insetti, ma esclusivamente alla loro influenza reciproca. Infatti, ove presenti pronubi in densità maggiore, la resa della coltura ha registrato un aumento assolutamente marginale. Queste interazioni andrebbero studiate maggiormente e potrebbero fornire nuove e interessanti informazioni.
Sulla base di questo studio possiamo affermare che la gestione dell’impollinazione attraverso il collocamento di api e di altri insetti può costituire una buona strategia a breve termine per aumentare la produttività delle colture, ma questa decisione deve essere presa tenendo in considerazione anche il possibile impatto di questa pratica sulla biodiversità. C’è il rischio infatti che, inserendo specie non autoctone in un determinato luogo, si origini una massiccia colonizzazione degli habitat circostanti e si determini un’alterazione dell’ecosistema naturale, anche attraverso la diffusione di patogeni. Un impatto minore si potrebbe ottenere posizionando gli alveari dove l’apicoltura è una pratica comunemente adottata, ed utilizzando le altre specie di impollinatori allevati nei luoghi in cui essi sono già presenti in natura.
Alla luce di tutto questo, il consiglio migliore e più saggio rimane sempre quello di incoraggiare pratiche agricole che favoriscano l’aumento delle popolazioni naturali di pronubi selvatici che possano provvedere a una sicura ed autonoma impollinazione, ad esempio privilegiando la scelta di cultivar con buona resa nettarifera e pollinifera, ed inserendo infrastrutture naturali intatte, circostanti alle coltivazioni, al fine di sostenere al meglio tutte le specie, sia a livello trofico mediante la presenza di fioriture in momenti diversi dell’anno, che attraverso l’esistenza di idonee zone di nidificazione.
In un agroecosistema sostenibile, adottare un approccio di impollinazione integrata come quello descritto, porterebbe notevoli benefici agli agricoltori, agli apicoltori, alle api allevate e agli impollinatori selvatici, ed un complessivo beneficio alla stabilità delle produzioni degli agro-ecosistemi.
Serena Alessandrini
Bibliografia citata
https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S016788092200305X